Carcere Le Vallette (TO) |
La visione che Buffa ha dei doveri di chi gestisce luoghi cosi difficili ed umanamente estremi è improntata a una grande umiltà. Lavorare sottotraccia, garantire sicuramente la più ampia disponibilità a progetti che portino cultura, lavoro, arte dentro il carcere e dal carcere al “fuori”. Ma c’è dell’altro.
E’ indubbia la validità e la necessità di “recuperare” a una dimensione di normalità i detenuti, fornendo loro le occasioni di svolgere attività regolate dai tempi del lavoro, come per le persone “normali”. “Ci si alza, si va al lavoro e si torna a casa, questo fanno le persone, questo dovrebbero fare anche i detenuti”, ci dice. Tempra piemontese vecchio stampo insomma, ma non priva della visione di progresso, quasi di “rivoluzione silenziosa” che questo modo di concepire la detenzione comporta.
Carcere Le Vallette (TO) |
Il fatto è che l’occupazione dei detenuti in attività lavorative dovrebbe essere la norma non l’eccezione. C’è un mandato costituzionale, ci sono le leggi dello Stato italiano che lo impongono e chi le assolve dovrebbe lavorare giorno dopo giorno a tradurre tutto ciò in pratica. Ci sono carceri in Germania, ma anche in Francia, dove questo accade con grande normalità, ci dice. Tutti i detenuti si impegnano in forme diverse di impiego, anche commisurate alle capacità individuali che, come molto spesso accade, risentono del disagio di molti di quelli che finiscono in carcere, a partire dai moltissimi stranieri che parlano a malapena la lingua del paese ospitante.
Ma il carcere è un luogo difficile e questo non deve mai essere ignorato. La “normalità” in carcere è un fatto tutt’altro che scontato e spesso di difficile attuazione. D’altronde, lavoro o no, alla fine si viene chiusi dentro una cella, questo è il carcere.
Ecco perché secondo Buffa ben vengano tutte le attività che permettono un innalzamento delle condizioni umane dei detenuti a un livello di (quasi) normalità ma senza dimenticare che, in fin dei conti, chi nelle carceri italiane partecipa a laboratori o formazione (ci sono anche studenti universitari) è già una persona privilegiata, o meglio che ha fatto un percorso tutto personale di selezione, prima ancora di finire in detenzione.
Chi ha accesso a questi spazi è probabilmente qualcuno che ha più strumenti, parla decentemente, ha insomma un minimo di mezzi culturali per capire e perseguire oneste occasioni di riscatto personale. Tuttavia il lavoro più impegnativo si fa tutti i giorni con l’altra metà dei detenuti, i veri ultimi, destinati secondo questa selezione sociale a restare esclusi anche dalla zona virtuosa di una realtà di per sé già assai disagiata.
© M.Palladino (recuperiamoci!)