giovedì 16 settembre 2010

Incontro con il direttore Pietro Buffa

Jail Tour fa sosta a Torino e visita la casa circondariale Le Vallette. Incontriamo il direttore Pietro Buffa, cui sottoponiamo il progetto recuperiamoci!.

Carcere Le Vallette (TO)
Con lui ci confrontiamo non solo sui problemi che quotidianamente si affrontano nelle carceri d’Italia ma anche sullo stato generale degli istituti penitenziari e sulle modalità di tradurre in pratica quelli che sono, a tutti gli effetti, i mandati di legge che gli istituti ricevono.

La visione che Buffa ha dei doveri di chi gestisce luoghi cosi difficili ed umanamente estremi è improntata a una grande umiltà. Lavorare sottotraccia, garantire sicuramente la più ampia disponibilità a progetti che portino cultura, lavoro, arte dentro il carcere e dal carcere al “fuori”. Ma c’è dell’altro.

E’ indubbia la validità e la necessità di “recuperare” a una dimensione di normalità i detenuti, fornendo loro le occasioni di svolgere attività regolate dai tempi del lavoro, come per le persone “normali”. “Ci si alza, si va al lavoro e si torna a casa, questo fanno le persone, questo dovrebbero fare anche i detenuti”, ci dice. Tempra piemontese vecchio stampo insomma, ma non priva della visione di progresso, quasi di “rivoluzione silenziosa” che questo modo di concepire la detenzione comporta.

Carcere Le Vallette (TO)

Il fatto è che l’occupazione dei detenuti in attività lavorative dovrebbe essere la norma non l’eccezione. C’è un mandato costituzionale, ci sono le leggi dello Stato italiano che lo impongono e chi le assolve dovrebbe lavorare giorno dopo giorno a tradurre tutto ciò in pratica. Ci sono carceri in Germania, ma anche in Francia, dove questo accade con grande normalità, ci dice. Tutti i detenuti si impegnano in forme diverse di impiego, anche commisurate alle capacità individuali che, come molto spesso accade, risentono del disagio di molti di quelli che finiscono in carcere, a partire dai moltissimi stranieri che parlano a malapena la lingua del paese ospitante.

Ma il carcere è un luogo difficile e questo non deve mai essere ignorato. La “normalità” in carcere è un fatto tutt’altro che scontato e spesso di difficile attuazione. D’altronde, lavoro o no, alla fine si viene chiusi dentro una cella, questo è il carcere.

Ecco perché secondo Buffa ben vengano tutte le attività che permettono un innalzamento delle condizioni umane dei detenuti a un livello di (quasi) normalità ma senza dimenticare che, in fin dei conti, chi nelle carceri italiane partecipa a laboratori o formazione (ci sono anche studenti universitari) è già una persona privilegiata, o meglio che ha fatto un percorso tutto personale di selezione, prima ancora di finire in detenzione.

Chi ha accesso a questi spazi è probabilmente qualcuno che ha più strumenti, parla decentemente, ha insomma un minimo di mezzi culturali per capire e perseguire oneste occasioni di riscatto personale. Tuttavia il lavoro più impegnativo si fa tutti i giorni con l’altra metà dei detenuti, i veri ultimi, destinati secondo questa selezione sociale a restare esclusi anche dalla zona virtuosa di una realtà di per sé già assai disagiata.

© M.Palladino (recuperiamoci!)