mercoledì 15 settembre 2010

L'uomo che fa evadere il "made in carcere" - LA STAMPA

Un imprenditore crea la prima rete per le cooperative di detenuti. «Metto in commercio prodotti ottimi che finora non si era mai pensato di vendere»
FEDERICO TADDIA

Un tour per le carceri a bordo di un camper Anni 80, acquistato a giugno per 6500 euro alla faccia dei 99 milioni di lire di listino nel 1983. Guai a dubitare sull'affidabilità del mezzo: Paolo Massenzi è orgoglioso della sua casa a quattro ruote. E i numeri gli danno ragione: 15 mila km percorsi in un paio di mesi, da quando ha dato via al «Jail Tour 2010».
 Un viaggio lungo lo Stivale per raccogliere, censire e mettere in mostra biscotti, abiti, collane, pasta, formaggi, mobili e tanti altri prodotti realizzati esclusivamente da detenuti.

«Il 22 ottobre 2009 ero in macchina e la radio mi ha dato la notizia della morte assurda di Stefano Cucchi - spiega -. Lì è cambiata la mia vita: ho immaginato che Cucchi potevo essere io, o poteva essere un mio figlio tra qualche anno. Mi è nata l'esigenza di scoprire se nel carcere c'era qualcosa di buono. Ho visitato alcuni istituti e, probabilmente sollecitato dalla mia professione di project manager, ho scelto di dedicarmi alla valorizzazione di ciò che viene creato con arte e professionalità nelle prigioni italiane». Massenzi abbandona così il lavoro e apre il portale www.recuperiamoci.org, che diventa un punto di riferimento per fare rete tra le cooperative di detenuti ed ex detenuti. L'obiettivo è stilare una mappatura delle realtà che operano nelle carceri per tentare di aprire entro Natale un emporio a Roma, dove mettere in vendita prodotti «made in carcere».

«I dati parlano di 12.376 detenuti lavoranti alle dipendenze dell'Amministrazione Penitenziaria su 68.345 - dichiara Massenzi -. Ma i veri numeri sono ben più piccoli. Chi partecipa a progetti gestiti da cooperative e quelli che sono ammessi a un lavoro esterno sono poco più di 800. Troppo pochi, se si pensa che la recidiva di chi lavora è solo del 10% contro il 70% di chi non ha lavoro: avere un impiego e imparare un mestiere offre una possibilità di riscatto. E trovare nuovi mercati in cui vendere i prodotti realizzati è essenziale per recuperare risorse per aumentare l'occupazione».

La prima tappa del «Jail Tour» è stata Alba, dove sul camper sono state caricate alcune bottiglie del vino realizzato nella Casa Circondariale: un dolcetto battezzato «Vale la pena». A Verbania, invece, con il marchio «Banda biscotti» nel laboratorio del carcere vengono infornati biscotti per tutti i gusti, mentre la Casa di Reclusione di Fossano propone «Ferro&Fuoco Jail Design», oggetti di arredamento in metallo. A San Vittore, poi, c'è una sartoria dove nasce la linea di abbigliamento casual «Gatti galeotti» e dove le detenute hanno tagliato e cucito le toghe per alcuni giudici milanesi.

A Mantova invece la coop «Parti inverse» è specializzata in gioielli realizzati con materiali di recupero. A «Le Vallette» di Torino spazio alle culle realizzate con cabine telefoniche dismesse e a «Pausa Cafè», laboratorio di torrefazione del caffè. «Ho recuperato 435 prodotti e ho recensito 73 cooperative e associazioni attive nelle carceri - aggiunge Massenzi -. Ma il viaggio non è ancora concluso. Mettere in circolo questi prodotti non è facile, anche perché l'amministrazione penitenziaria non può fare vendita diretta. Quello che nasce nelle 115 aziende biologiche, per esempio, viene consumato nelle prigioni, mentre le cooperative fanno sforzi enormi per realizzare ottimi manufatti ma poi non sanno come muoversi nella distribuzione».

Un mercato che è davvero vario e smisurato: basti pensare all'attività di smaltimento delle lavatrici nel carcere «Dozza» di Bologna, agli abiti del '700 tessuti e disegnati dalle detenute della Giudecca a Venezia, grazie alla cooperativa «Il Cerchio», alla bambola-cuscino «Ninetta» creata al femminile di Sollicciano, ai taralli «Campo dei miracoli» di Trani, alle ricercatissime paste di mandorle de «L'arcolaio» sfornate dal carcere di Siracusa o alle magliette «Made in Jail» che da oltre 20 anni sono il brand di Rebibbia a Roma. A Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), invece, esiste un mobilificio nell'Ospedale Psichiatrico Giudiziario: un'ala è adibita a laboratorio d'eccellenza, dove vengono realizzati arredamenti per banche, hotel e abitazioni, anche se il fiore all'occhiello è un divertente porta flebo per bambini. «Dal carcere può ripartire la speranza, è quello che vedo ogni giorno nel mio tour - conclude Massenzi -. Basti pensare a quello che succede a Locri, dove la cooperativa “Valle del Bonamico” occupa ex detenuti in un progetto di recupero di un maiale nero in via d'estinzione, mentre la carne verrà lavorata dalle donne vedove di ‘ndrangheta. E uno degli ex detenuti mi ha confessato che ora ha finalmente qualcosa in cui credere».

Articolo in:
http://www3.lastampa.it/costume/sezioni/articolo/lstp/324262/