Massenzi raccoglie i prodotti realizzati dai detenuti d'Italia e li vende.
Di Filippo Cioni
Foto M.Palladino (recuperiamoci!) |
La vita di un uomo può cambiare anche così, pensando a quella spezzata di un altro. E' la storia del pratese Paolo Massenzi che da due mesi ha iniziato un tour indipendente per le carceri italiane a bordo di un camper anni '80. Ha lasciato il suo lavoro di problem solver e si è immerso in quello più difficile del confronto, del capire.
«Volevo capire se nelle carceri italiane ci fosse qualcosa di buono». racconta. Paolo si è fatto già 16 mila chilometri lungo lo Stivale, ha visitato tante strutture carcerarie, ha aperto il sito www.recuperiamoci.org, ormai il punto di riferimento per le cooperative di detenuti.
Il lavoro di Paolo è quello di raccogliere, catalogare e poi portare in giro col suo camper il cosiddetto "made in carcere". «Ci sono almeno 80 cooperative - racconta Paolo - che ho incontrato nel mio "Jail Tour 2010" e che producono, con professionalità, abbigliamento, generi alimentari, mobili e altri prodotti riciclando spesso materiali che altrimenti andrebbero buttati. Sono almeno 450 articoli, la mia speranza è di aprire presto un emporio a Roma cercando di valorizzare l'economia carceraria, che spesso non ha la possibilità di entrare nel mercato». Quello che già sta facendo, mostrando in giro per l'Italia la creatività di persone che cercano di ritrovare una dignità nel lavoro. «Il nome'recuperiamoci' - conferma Paolo - non è stato scelto a caso. C'è la volontà di lanciare una messaggio, che il lavoro è capace di dare a queste persone un riscatto.
Purtroppo ancora oggi si registra solo una minoranza di detenuti inseriti in progetti lavorativi. Un peccato, se si pensa che la recidività di chi lavora è del 10% contro il 70% di chi non ha un impiego. Insomma, il lavoro offre davvero una possibilità di recupero della propria persona». Partito da Alba il 12 luglio, il "Jail Tour" ha toccato diverse regioni italiane e strutture carcerarie, collezionando il buono che c'è dietro le sbarre «che - dice Massenzi - è davvero tanto». Riscontrando anche il forte calore della gente «che verso questi prodotti non è diffidente, ha sensibilità e questo è un messaggio importante». Volendo addentrarci in un elenco non certo esaustivo di brand e prodotti, pensiamo alle magliette "Made in Carcere" icona di Rebibbia, a Roma, a Verbania con il marchio "Banda biscotti" si producono ottimi dolcetti, ci sono gli abiti del '700 realizzati dalla detenute della Giudecca a Venezia, nel carcere di Sollicciano si cuciono le bambole cuscino "Ninetta", la Casa di Reclusione di Fossano ha lanciato la linea di oggetti in arredamento in metallo "Ferro&Fuoco Jail Design", a Barcellona Pozzo di Gotto, nell'ospedale psichiatrico, è allestito un mobilificio. Tutti oggetti che
Paolo porta in giro col suo camper in una mostra itinerante. «I soldi guadagnati da ciò che vendo - ci spiega - tornano a chi li ha prodotti. Poi, se avanza qualcosa, quello lo uso per il gasolio del camper». «Il mio lavoro non nasce come protesta, ma è un messaggio a considerare che dietro una sbarra c'è anche del buono, che dal carcere può ripartire la speranza - sottolinea Massenzi - in futuro vorrei visitare le regioni che mancano ancora all'appello: Abruzzo, Sardegna, Molise, Campania e Liguria», non prima di aver trovato l'immobile per l'emporio da aprire a Roma «il prima possibile».
Poi chiude con una riflessione data dall'esperienza personale. «Le carceri italiane non se la passano bene. Le cifre non mentono, gli spazi sono pochi e i detenuti tanti. Siamo di fronte ad una pentola a pressione, se non si spegne la fiamma e non si apre la valvola prima o poi il rischio è che esploda.